Tutele Crescenti e Corte Costituzionale – La Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi sulle tutele crescenti

Tutele Crescenti e Corte Costituzionale – La Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi sulle tutele crescenti

Diritto del lavoro

La Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi sulle tutele crescenti

Con ordinanza del 26.07.2017 il Tribunale di Roma ha ritenuto di dover rimettere al vaglio della Corte Costituzionale le disposizioni di cui agli artt. 2, 4 e 10 D.lgs. n. 23/2015 (c.d. Tutele Crescenti).

La causa aveva ad oggetto l’impugnazione di un licenziamento per asserito g.m.o. spiccato in regime di tutele crescenti. La dipendente, assunta in data 11 maggio 2015, licenziata per giustificato motivo oggettivo con lettera del 15 dicembre 2015, aveva contestato alla datrice di lavoro l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo.

Stante la contumacia della Società e la conseguente mancata dimostrazione della fondatezza della motivazione posta a base del licenziamento, quest’ultimo veniva ritenuto dal Tribunale illegittimo con conseguente diritto della Lavoratrice ad ottenere una indennità risarcitoria pari a 4 mensilità secondo le nuove disposizioni.

Ad avviso del giudicante, l’indennità risarcitoria di cui al D.lgs. 23/2015 avrebbe dovuto essere più consistente ed adeguata in considerazione del fatto che essa compensa solo per equivalente il danno ingiusto subito dal lavoratore, sostituendosi anche al risarcimento in forma specifica della reintegrazione.

Il giudice ha ritenuto così di sollevare questione di legittimità costituzionale relativamente alla novellata disciplina tenuto anche conto che il giudice stesso viene privato di qualsivoglia discrezionalità valutativa in ordine ai fatti posti a base del licenziamento.

In particolare, ad avviso del Tribunale, gli artt. 2, 4 e 10 D.lgs. n. 23/2015 contrastano con le seguenti norme Costituzionali:

  • Art. 3 Cost.: la mancanza della discrezionalità valutativa del giudice innescherebbe un automatismo volto a disciplinare in maniera simile situazioni dissimili, violando il principio di uguaglianza.
    La differenziazione di situazioni simili potrebbe portare, nel corso del tempo, ad una discriminazione nei confronti dei neoassunti: poiché nella stessa organizzazione coesisteranno dipendenti diversamente tutelati pur a fronte di un identico contratto di lavoro, a parità di necessità di ridurre l’organico, il datore di lavoro prediligerà soggetti con tutela inferiore. Per tacer del fatto che, si acuirà il divario tra i dirigenti, non soggetti al regime di Jobs Act, e i lavoratori privi di tale qualifica;
  • Artt. 4 e 35 Cost. poiché verrebbe attribuito al diritto del lavoro un controvalore monetario “irrisorio e fisso”;
  • Artt. 117 e 76 Cost.: ad avviso del giudicante i citati articoli di cui al D.lgs. 23/2015 si pongono in contrasto con l’art. 30 della Carta di Nizza nonché con la Convenzione ILO n. 158/1982 e da ultimo con l’art. 24 della Carta Sociale. Dette disposizioni prevedono infatti che per i licenziamenti illegittimi debba essere prevista una riparazione economica congrua ed adeguata, con il duplice scopo, da un lato, di rendere un’effettiva riparazione del danno subito da parte del dipendente e, dall’altro, di avere un effetto dissuasivo in capo al datore di lavoro che ha spiccato il licenziamento illegittimo.
    Vista l’esiguità dell’indennità che viene prevista nella normativa statale, appare chiaro il contrasto con le normative comunitarie e sovranazionali in commento.